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sabato 13 dicembre 2025

Ultimate Spider-Man n. 23: la review

Pochi giorni fa è uscito in Usa il n. 23 di Ultimate Spider-Man (vol. 3) di Jonathan Hickman, il penultimo di questa discussa collana, che si chiuderà a gennaio, che all'inizio è partita bene ma che poi ha stancato il lettore con il suo ritmo diluito e poca azione, salvo riaccendersi nel finale ma oramai tutti sanno che si è giunti alla conclusione e le vendite non ne hanno beneficiato (anche in Italia).

La Marvel ha giocato male le sue carte, poiché la DC con la linea Absolute Comics, destinata ad andare avanti, ha dimostrato come si può costruire una linea alternativa di personaggi e durare fino al punto di incrementare perfino le vendite. Il punto debole di questa serie è stata quindi la rigida gabbia di regia imposta da Hickman, che ora è stata rotta con una accelerazione incredibile degli eventi. 

In questo penultimo numero Hickman concentra conflitti, decisioni morali e linee narrative che prima avanzavano in parallelo senza urtarsi. Il nodo centrale dell’albo riguarda il senso della responsabilità di Spider-Man. Il motto del personaggio viene messo sotto pressione senza retorica. Essere responsabili verso chi se famiglia e bene collettivo entrano in conflitto? Hickman evita risposte consolatorie.

La risposta è affidata a Otto Octavius. Mandare Richard Parker in missione con Felicia Hardy é una violazione di un'etica di Peter. Otto é un razionalista puro: qualcuno deve farlo, solo Richard può farlo, quindi Richard andrà. È una logica fredda, ma inattaccabile. E proprio per questo è insopportabile. Il punto critico del numero sta nel fatto che Peter non riesce a confutare quella logica. 

Non é un errore tecnico, non c’è una falla morale. C’è solo una ferita. Hickman colpisce qui con precisione: Spider-Man perde il controllo non perché è debole, ma perché qualcuno applica il suo stesso principio senza il suo filtro umano. Otto non è il Superior Spider-Man per arroganza o abuso di potere. È non superiore adesso perché elimina il dubbio e l’umanità. L’azione si sposta alla Fisk Tower 

Peter va a salvare suo figlio, Felicia e a rovesciare Kingpin. Mister Negativo muove i suoi contro Wilson Fisk mentre i Mysterio rivelano di non essere usciti di scena e il Green Goblin rientra come variabile. La quantità di elementi in gioco è alta, al limite della saturazione, ma i testi reggono perché ogni conflitto è legato a una scelta, non a un colpo di scena gratuito. Buoni i disegni di Marco Checchetto.

L’azione ha peso, i corpi occupano spazio, i volti denotano tensioni che il testo non spiega. La coesione evita l’effetto frammentazione che un numero così carico rischiava di produrre. Il confronto tra Peter e Harry Osborn resta il filo tematico più solido dell’intera run. Peter costruisce il suo ruolo di Spider-Man recuperando valori e gesti della tradizione. Harry fallisce nell'elevarsi. 

Il peso di Norman Osborn continua a definirlo, anche da morto, attraverso un’intelligenza artificiale che funziona come coscienza tossica. Harry potrebbe essere un eroe, ma non lo è, e il racconto non fa nulla per addolcire questa distanza. Il numero si chiude con una dichiarazione chiara: il formato mensile è finito. La storia ripartirà senza salti, senza protezioni, senza ordine apparente. 

Hickman prepara un ultimo atto in due parti con il solito caos e soluzioni non pulite. Dopo tanta attesa, l'Ultimate Spider-Man accetta di sporcarsi le mani. Era l’unico modo per dare senso a tutto ciò che era stato trattenuto fino a ora. Insomma, alla fine abbiam fatto bene a non prendere questa testata nemmeno in italiano. Ora ci ritroveremmo con 24 numeri del tutto inutili da rivendere subito.

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