Pochi giorni fa è uscito in Usa il n. 23 di Ultimate Spider-Man (vol. 3) di Jonathan Hickman, il penultimo di questa discussa collana, che si chiuderà a gennaio, che all'inizio è partita bene ma che poi ha stancato il lettore con il suo ritmo diluito e poca azione, salvo riaccendersi nel finale ma oramai tutti sanno che si è giunti alla conclusione e le vendite non ne hanno beneficiato (anche in Italia).
In questo penultimo numero Hickman concentra conflitti, decisioni morali e linee narrative che prima avanzavano in parallelo senza urtarsi. Il nodo centrale dell’albo riguarda il senso della responsabilità di Spider-Man. Il motto del personaggio viene messo sotto pressione senza retorica. Essere responsabili verso chi se famiglia e bene collettivo entrano in conflitto? Hickman evita risposte consolatorie.
La risposta è affidata a Otto Octavius. Mandare Richard Parker in missione con Felicia Hardy é una violazione di un'etica di Peter. Otto é un razionalista puro: qualcuno deve farlo, solo Richard può farlo, quindi Richard andrà. È una logica fredda, ma inattaccabile. E proprio per questo è insopportabile. Il punto critico del numero sta nel fatto che Peter non riesce a confutare quella logica.
Non é un errore tecnico, non c’è una falla morale. C’è solo una ferita. Hickman colpisce qui con precisione: Spider-Man perde il controllo non perché è debole, ma perché qualcuno applica il suo stesso principio senza il suo filtro umano. Otto non è il Superior Spider-Man per arroganza o abuso di potere. È non superiore adesso perché elimina il dubbio e l’umanità. L’azione si sposta alla Fisk Tower
Peter va a salvare suo figlio, Felicia e a rovesciare Kingpin. Mister Negativo muove i suoi contro Wilson Fisk mentre i Mysterio rivelano di non essere usciti di scena e il Green Goblin rientra come variabile. La quantità di elementi in gioco è alta, al limite della saturazione, ma i testi reggono perché ogni conflitto è legato a una scelta, non a un colpo di scena gratuito. Buoni i disegni di Marco Checchetto.
L’azione ha peso, i corpi occupano spazio, i volti denotano tensioni che il testo non spiega. La coesione evita l’effetto frammentazione che un numero così carico rischiava di produrre. Il confronto tra Peter e Harry Osborn resta il filo tematico più solido dell’intera run. Peter costruisce il suo ruolo di Spider-Man recuperando valori e gesti della tradizione. Harry fallisce nell'elevarsi.
Il peso di Norman Osborn continua a definirlo, anche da morto, attraverso un’intelligenza artificiale che funziona come coscienza tossica. Harry potrebbe essere un eroe, ma non lo è, e il racconto non fa nulla per addolcire questa distanza. Il numero si chiude con una dichiarazione chiara: il formato mensile è finito. La storia ripartirà senza salti, senza protezioni, senza ordine apparente.
Hickman prepara un ultimo atto in due parti con il solito caos e soluzioni non pulite. Dopo tanta attesa, l'Ultimate Spider-Man accetta di sporcarsi le mani. Era l’unico modo per dare senso a tutto ciò che era stato trattenuto fino a ora. Insomma, alla fine abbiam fatto bene a non prendere questa testata nemmeno in italiano. Ora ci ritroveremmo con 24 numeri del tutto inutili da rivendere subito.

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